Cenni storici e citazioni

Il primo e più completo libro sulla gastronomia del territorio ligure e sul pesto è “La Cuciniera Genovese”, frutto delle fatiche di Gio Batta Ratto e, per le edizioni successive alla terza, del figlio Giovanni, che risale al 1863.

La ricetta del pesto (o “battuto alla genovese”) che vi è riportata è la seguente:

Prendete uno spicchio d’aglio, basilico (baxaicö) o in mancanza di questo maggiorana e prezzemolo, formaggio olandese e parmigiano grattugiati e mescolati insieme e dei pignoli e pestate il tutto in mortaio con poco burro finchè sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fine in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne e i gnocchi (troffie), unendovi un po’ di acqua calda senza sale per renderlo più liquido”.

Le particolarità che si possono notare, differenti rispetto alla ricetta attuale, sono la presenza del formaggio d’Olanda o Gouda diffuso a Genova per via dei commerci marittimi con i paesi del Nord Europa, e l’alternativa concessa al basilico di prezzemolo e maggiorana, dovuta alla stretta stagionalità della coltivazione del basilico a quell’ epoca.

Nel dizionario genovese-italiano di Casaccia del 1876, si trova:

“Pesto: voce nostra che non ha precisa corrispondenza italiana,ed è un specie di salsa o condimento che si compone di basilico oppure maggiorana e prezzemolo, di aglio e cacio, pestati insieme nel mortaio e sciolti con olio ed acqua usati per cuocere la minestra che si vuol condire”.
Come si può vedere la ricetta è circa la stessa ma scompare la precisazione della tipologia di formaggio.

Un’interessante citazione si può ricavare anche dal volume “I Liguri a Tavola. Itinerario gastronomico da Nizza a Lerici”, scritto da Massimo Alberini ed edito da Longanesi nel 1965.

Alberini sottolinea nel pesto l’importanza di un buon olio d’oliva (extra vergine) della Liguria “di grande finezza e di aroma squisito – un olio – saporito senza essere greve,di colore giallo-oro con qualche riflesso verde smeraldo, delicatissimo e schietto”.

Curiosa l’analisi delle origini del pesto: “una derivazione dell’antichissima agliata ,la salsa plebea del medioevo, composta da bulbi d’aglio schiacciati”, dove sottolinea come il Rossi (1876) nella sua ricetta fosse piuttosto parco e vago sulla quantità di basilico da usare (qualche foglia), e abbondasse invece nell’aglio (tre o quattro spicchi).

Qualche citazione

-Cosa è il pesto?
Facile a spiegarsi: Uno spicchio d’aglio, basilico, formaggio sardo, un bel mortaio per il battuto e dell’olio fino per sciogliere il tutto!
-E le dosi?
-Madonna cara, regolatevi voi, e che la provvidenza vi assista!

Perché -soggiungeva il celebre Rosso, prima cameriere e poi socio della trattoria Monterosa dietro Piazza Fontane Marose – per fare un buon pesto bisogna nascerci, come si nasce poeti!”.
Così scriveva Alessandro Varaldo a proposito de La Cucina Genovese nel raro “Almanacco Cucinario della Scena Italiana” edito nel 1937.
E aggiungeva : “Il pesto, signori miei, è come una bandiera genovese: rivaleggia con la croce rossa (lo stemma di Genova è una croce rossa in campo bianco) e con San Giorgio (il santo patrono della città)!

Il pesto dunque, o battuto genovese, è il classico, l’inarrivabile condimento, una specie di toccasana “al cui nome s’acquietò”, narrava un vecchio lupo di mare al comando di un piroscafo di emigranti all’epoca di “Oceano” di Edmondo de Amicis, “come per incanto una rivolta a bordo”.
“L’ olio vince il mare e il pesto la musoneria”, diceva.

Doverosa la citazione del “pesto maleducato”, coniato da Giuseppe Gavotti nel suo “Cucina e vini di Liguria” del 1973. Si riferisce ad un pesto che abbonda nelle dosi d’aglio, secondo un gusto orientale arabo/persiano che a Genova ha fatto scuola nella produzione di salse dal Medioevo fino all’Ottocento.